Valle d'Aosta | Italia

Donato Savin - "La vita intorno a me"

A cura di: Luisa Vuillermoz

 

La mostra “La Vita attorno a Me” di Donato Savin è un omaggio alla Natura e ci invita a esplorare un dialogo profondo tra l’artista e il mondo naturale che lo circonda. Nato e cresciuto a Cogne, nel cuore del Parco Nazionale Gran Paradiso, Donato ha trasformato la sua esperienza di vita e la sua connessione con gli animali, sia domestici che selvatici, in sculture di pietra che raccontano storie di vita quotidiana e di natura incontaminata.

Le installazioni, distribuite nei luoghi simbolo di Cogne, sono un invito a scoprire il paesaggio in un modo nuovo: lasciandosi guidare dalla pietra e dallo sguardo di un artista capace di trasformare il silenzio della montagna in voce. Dalle delicate installazioni mobili con gli uccellini, che si animano al soffio del vento nel prato di Sant’Orso, al gregge di pecore rinato dal tufo portato alla luce dall’alluvione, fino al maestoso stambecco che domina la piazzetta del Villaggio Minatori, ogni opera dialoga con il suo contesto naturale, offrendo una prospettiva unica sulla relazione tra uomo e ambiente.

Donato Savin nasce e cresce a Cogne, nel cuore del Parco Nazionale Gran Paradiso. La sua è una vita scolpita nella montagna: da dérèi bèadji in alpeggio (il bambino che aiutava a pascolare), a giovane espositore alla Fiera di Sant’Orso, da campione delle martze a pià (i trail ante litteram) a guardia forestale, a muratore e infine scultore. O meglio, da sempre scultore: da quando modellava il fango da bambino, a quando, giovanissimo, vinse il suo primo premio alla Foire, fino ad oggi, in una maturità artistica sorprendente, riconosciuta anche oltre i confini regionali.

La scelta di lavorare la pietra, materiale che richiama la solidità e la durevolezza delle sue montagne, è una testimonianza del desiderio di creare opere che siano in armonia con il paesaggio. Le sue sculture non sono solo rappresentazioni artistiche, ma anche racconti visivi che narrano la storia di un territorio e del suo patrimonio naturale.

Nella poetica di Donato Savin, la pietra si fa luogo del disvelamento. Le sue sculture animali non si limitano a raffigurare la natura: la fanno emergere, la custodiscono, ne rivelano l’essere nascosto  come se ogni venatura della roccia serbasse il respiro profondo del vivente. In sintonia con il pensiero di Heidegger, secondo cui l’opera d’arte è un aprirsi della verità, Donato trasforma la pietra in presenza viva, capace di mostrare l’intimo legame tra uomo e natura. La lavora come un atto d’amore. La cerca, la osserva, la raccoglie lungo il torrente Grand Eyvia, che scorre talvolta placido talvolta tumultuoso accanto alla sua casa di Epinel. La accarezza, non la forza mai, ma la accompagna a svelarsi. 

Il maestro di Donato nel lavorare la pietra è stato Renzo Abram. Minatore classe 1944, recentemente scomparso, è stato molto più di un cognato per Donato Savin: è stato un mentore, una guida, un esempio. Lavorava a cottimo nella miniera di Cogne e, grazie a una forza fisica straordinaria, era sempre tra i primi nel conteggio dei metri di estrazione. Uomo di poche parole e di molti gesti, fu proprio lui a insegnare a Donato i primi rudimenti del lavoro con la pietra: come spaccarla, come murarla, come ascoltarla. Insieme costruirono parte della crotta della casa di Epinel. Ma fu anche colui che lo spinse con ostinazione e affetto a non abbandonare “quell’arte dell’inutile” che Donato sentiva come un’urgenza silenziosa. Nei ricordi dell’artista, quando parla di Renzo con gli occhi lucidi, si fa strada la consapevolezza che sono le radici, gli incontri, le figure che ci affiancano nella vita a fare la differenza. Renzo era di dodici anni più grande. Aveva sposato la sorella di Donato. Da bambino, Donato lo seguiva all’alpeggio di Pianès, dove imparò da lui l’arte dell’osservazione, del silenzio, del rispetto per la natura. È stato per lui, per tutta la vita, una presenza forte, costante, e una fonte inconsapevole di ispirazione. Renzo non potrà vedere questa mostra almeno non con occhi mortali. Ma Donato è certo che ne sarebbe stato, ancora una volta, orgoglioso.

Per Donato lavorare la pietra è stata una sfida con la materia. C’era un tempo in cui credeva che la magnetite non si potesse scolpire, troppo densa, troppo ricca di ferro, sembrava inscalfibile, come se opponesse resistenza all’arte. Ma proprio da quella resistenza è nato un nuovo filone della sua ricerca: per gioco, per sfida, per necessità di superare il limite. Le sculture in magnetite sono tra le più pesanti, fisicamente e simbolicamente. Un coacervo di roccia e metallo, un corpo compatto che l’artista affronta con forza, fresa e una buona dose di rischio. È qui che la materia si impone e al tempo stesso si arrende, lasciandosi trasformare in presenza. In queste opere, la pietra non è più solo medium, ma antagonista e compagna di viaggio: una sfida vinta con rispetto e fatica.

 

Foto Sguardo, mani, sorriso

Negli occhi chiari e penetranti di Donato si riflette l’idea platonica della forma che precede la materia. Lo sguardo non osserva la pietra per ciò che è, ma per ciò che può diventare. Le mani di Donato raccontano il gesto antico della scultura, dove forza e ascolto si incontrano. Il mazzuolo non colpisce: interpella. Lo scalpello non incide: rivela. Ogni opera è frutto di un dialogo paziente, quasi meditativo, tra l'artista e la materia. Il sorriso di Donato è timido e sincero, parte dallo sguardo e accoglie. È il sorriso con cui apre le porte del suo atelier a Epinel, tra odori di pietra, legno e libertà. Un gesto di semplicità autentica che racconta molto della sua visione del mondo.

Donato Savin è un artista di respiro internazionale, capace di collocarsi con originalità nel territorio di confine tra l’artigianato di tradizione e l’arte contemporanea. Le sue radici affondano nella Valle di Cogne, tra le pietre e gli animali del Gran Paradiso, ma il suo linguaggio artistico si è evoluto viaggiando, esponendo in Europa, nutrendosi di confronti e suggestioni che superano i confini geografici. La sua opera nasce da un sapere antico, fatto di gesti manuali, di osservazione silenziosa, di attenzione ai materiali e ai ritmi della natura. Ogni scultura è anche una riflessione sul presente, una ricerca di essenzialità formale che parla un linguaggio universale, capace di dialogare con l’arte contemporanea pur restando saldamente ancorato al territorio. È proprio in questa doppia appartenenza — al locale e al globale, al passato e al futuro — che risiede la forza poetica di Donato Savin: un artista "glocal", che con le sue pietre – granito, magnetite, tufo, onice, marmo verde, gneiss – racconta storie senza tempo, con un linguaggio essenziale, sobrio e potente. Un linguaggio in grado di parlare a tutti, pur restando intimamente legato al territorio che lo ha generato.

Ora che è in pensione, la sua produzione è più intensa che mai. Sente dentro di sé il tempo che passa, ma sente anche — più forte che mai — il bisogno di continuare a creare. Continua a scolpire, lo fa con l’urgenza di chi sente di avere ancora tanto da raccontare ma anche con la spensieratezza di chi si fa travolgere da una passione che lo assorbe completamente.

“Non è un lavoro, non è una passione: è un gioco!” Così Donato ama descrivere il suo rapporto con la scultura. Un’affermazione che sorprende, soprattutto di fronte alla potenza e alla serietà delle sue opere. Ma è lui stesso a spiegare il senso di questa frase con un sorriso: “Forse non ho giocato abbastanza da bambino, e ora sto semplicemente recuperando.”

In queste parole si riflette tutta la leggerezza profonda del suo gesto artistico: scolpire per lui non è un dovere né una professione, ma un atto libero, istintivo, necessario. Come il gioco, appunto: serio, vitale, indispensabile, come è… la Natura attorno a lui.

 

Una mostra diffusa, un’esperienza immersiva, un gioco alla scoperta di Cogne

L’originalità dell’arte di Donato Savin richiedeva un’esposizione altrettanto originale. Le sue sculture, nate in ascolto della natura e profondamente radicate nel territorio, non potevano essere chiuse in uno spazio tradizionale. Per questo, abbiamo ideato un format espositivo innovativo che dialoga con l’ambiente di Cogne e ne valorizza angoli spesso nascosti o poco conosciuti.

Le opere sono distribuite sul territorio in una mostra diffusa, georeferenziata e fruibile attraverso l’app Visit Grand Paradis. Ogni installazione trova spazio in un luogo che ne arricchisce il significato e ne amplifica il messaggio. Non si tratta solo di osservare un’opera, ma di viverla in relazione con il paesaggio che la ospita. Una mostra che si apre al paesaggio, lo abita e ne esalta le peculiarità.

Ad accompagnare il visitatore ci sarà anche La Sibilla del Gran Paradiso, un avatar digitale basato su un algoritmo di AI che racconta storie, svela curiosità e suggerisce percorsi, rendendo l’esperienza accessibile, personalizzata e coinvolgente. Un nuovo modo di esplorare l’arte: libero, sostenibile, aperto al dialogo tra uomo, natura e tecnologia.